domenica 31 agosto 2014
Austerità. A settembre il Senato tornerà sulla legge delega, per i decreti attuativi ci vorrà un altro anno. Ncd e Pd divisi su indennità e articolo 18.Occupazione, salari e inflazione: il nuovo «vangelo» di Draghi scuote il governo, l’invito a seguire i «mini-jobs» tedeschi lascia poche speranze
«Lost
in recession», perduti nella recessione. Sono i precari, gli
inoccupati, scoraggiati e lavoratori poveri: 3,3 milioni nel 2013.
In Italia, vivono in una zona grigia e non vengono calcolati nel
tasso di disoccupazione ufficiale al 12,3% a giugno 2014 (3 milioni
153 mila). Per loro le possibilità di trovare un altro lavoro sono
tra il 14% e il 15%, la quota più bassa di tutti i 28 Stati membri
dell’Ue. Risollevare le sorti del quinto stato ai margini della
cittadinanza, disoccupato o bloccato in lavori precari part-time,
rappresenta uno degli obiettivi di una politica economica che per
il governatore della Bce Mario Draghi dovrebbe iniziare
a investire sulla domanda dopo sei anni di crisi, e non solo sul lato
dell’offerta con le «riforme strutturali».
Sembra proprio che il nuovo «vangelo»
dei banchieri centrali siano diventati l’occupazione, i salari
e l’inflazione. Ma la realtà non è così limpida come quella descritta
ieri dal Wall Street Journal, E’ vero, il combinato
disposto occupazione.deflazione preoccupa tutti. La banca
d’Inghilterra che ha legato l’aumento dei tassi a quello
dell’occupazione. La Fed di Janet Yellen spiega che il tasso di
disoccupazione è più alto e non viene registrato dagli indicatori
ufficiali. Per affrontare l’emergenza, in gran parte causata dalle
stesse politiche dell’austerità a cui oggi si cerca un rimedio, dal
simposio dei banchieri centrali a Jackson Hole della settimana
scorsa Draghi ha esortato l’Italia e i paesi dell’Europa meridionale
a seguire l’esempio della Germania.
La sua ricetta è stata riassunta così dal New York Times:
taglio della spesa pubblica, eliminazione di programmi di
sicurezza sociale e di misure protezionistiche sul mercato del
lavoro. A questo dovrebbe tendere per il governatore l’eliminazione
del dualismo tra «garantiti» e «non garantiti», non in direzione
dell’universalizzazione del welfare per entrambi («Il modello sociale
europeo è morto» affermò nel 2012), bensì alla diversificazione dei
salari e al loro legame con la produttività.
Se il modello sono i mini-job in
Germania, allora la ricetta non lascia sperare in un cambiamento di
rotta. Il paese della Merkel è riuscito a truccare le statistiche
sulla disoccupazione (al 5% contro l’11,5% in Europa) creando una
popolazione di lavoratori servili: 7,5 milioni di precari (un
posto di lavoro su cinque) a 400 euro o poco più al mese, per 5 milioni
questa è l’unica entrata. Sono assicurati solo contro gli
infortuni sul lavoro, mentre i datori di lavoro non versano
i contributi. Stessa storia in Inghilterra, dove c’è un milione di
contratti a zero ore, in maggioranza donne, lavorano senza orari
specifici, su richiesta dei datori di lavoro (anche a Buckingham
Palace). Dati che mostrano un «mercato del lavoro» dove la precarietà
è ovunque, altro che «dualismo».
Le parole di Draghi hanno dato uno
scossone anche al governo Renzi, congelato dalla crescita negativa
(-0,2% a giugno) e immobile sul lavoro dopo la conversione in legge
del decreto Poletti che ha precarizzato i contratti a termine
eliminando la «causalità» dei contratti per 36 mesi. Una
misurache contrasta con la direttiva europea 70 del 1999. Per
Draghi questo non conta, la direzione è un altra.
Dopo un ferragosto passato
a discutere di prelievi sulle pensioni e abolizione dell’articolo
18, Renzi ha deciso di accelerare i tempi della seconda parte del «
jobs act»: la legge delega che riformerà l’intero mercato del lavoro.
Considerata la fretta di Draghi, e le sue eleganti allusioni ad un
commissariamento europeo delle politiche sociali o sulla
giustizia, la decisione di Renzi-Poletti di smembrare in due
tronconi il dl sui contratti dalla delega sul mercato del lavoro si
è rivelata un pasticcio.
Il Jobs Act, infatti, contiene
5 deleghe, dalla revisione degli ammortizzatori sociali, alle
politiche attive, semplificazione e riordino dei contratti,
tutele per la maternità. Prevede inoltre un contratto a tutele
crescenti che sembra andare ad aggiungersi ai 46 contratti atipici
esistenti. Alla commissione lavoro del Senato la discussione si
è bloccata sull’articolo 4, quello del riordino delle forme
contrattuali e sui licenziamenti. Il relatore Maurizio Sacconi
(Nuovo Centro Destra) vuole sostituire l’obbligo di reintegro in
caso di licenziamento illegittimo con un’indennità (la proposta
è di Ichino, Scelta Civica), mentre il Pd vuole congelare questa
tutela elementare per tre anni, sul modello dell’«acausalità» nei
contratti a termine. Flessibili si, ma a tempo determinato. In
tempo per farsi licenziare.
A settembre, la maggioranza troverà
una sintesi, ma dovrà affrontare i tempi biblici dell’entrata in
vigore delle deleghe. Il ministro del lavoro Poletti si è impegnato
a incassare l’approvazione del provvedimento entro la fine
dell’anno. Dovrà però aspettare almeno giugno 2015 per i decreti
attuativi. Se andrà bene, il governo italiano applicherà la ricetta
Draghi, adotterà un sussidio di disoccupazione più largo
dell’attuale «Aspi», provvederà alla costituzione di un’agenzia
nazionale per l’occupazione (fusione tra Italia lavoro e Isfol) tra un
anno e forse più. In tempo per registrare un aumento della
disoccupazione e del precariato sul modello tedesco.
Roberto Ciccarelli - il manifesto
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