giovedì 19 luglio 2012
Napolitano, uno dei principali esponenti "miglioristi" |
Il dibattito economico odierno sulle possibili soluzioni per uscire
dalla crisi si concentra sull’utilità o meno di una riduzione dei
salari. Sebbene si citi spesso la frase di Marx (per cui la storia si
ripete come farsa), in questo caso la farsa è che questo dibattito si
ripeta ancora nel nostro paese. Infatti, durante la crisi degli anni
’70, lo stesso dibattito ebbe luogo proprio in Italia, e vide
confrontarsi il futuro premio Nobel Franco Modigliani ed economisti
eterodossi, molti vicini al Partito Comunista Italiano. Proprio il
dibattito sul livello del salario nella crisi è un indicatore importante
per misurare l’orientamento delle varie posizioni politiche e il loro
cambiamento reale.
Modigliani: la riduzione del salario reale e il compito dei sindacati
Gli
anni ’70 furono attraversati da diversi fenomeni economici. Da una
parte si concluse il ciclo di lotte cominciano nei decenni precedenti,
con la conquista di molti diritti, tra cui lo Statuto dei Lavoratori e
la scala mobile per i salari. Dall’altro l’Italia, come le altre
economie capitaliste fu colpita da una crisi di stagflazione, che univa
quindi alla crisi della produzione un’impennata dell’inflazione.
Per
uscire dalla crisi era necessario, secondo Modigliani, una riduzione
del salario reale, che sarebbe dovuta passare attraverso la modifica o
la cancellazione del meccanismo di indicizzazione dei salari
all’inflazione (conosciuto appunto come scala mobile). La tesi di
Modigliani era che questo meccanismo, di cui a prima vista beneficiavano
i lavoratori, andava in realtà contro i loro stessi interessi
collettivi. La scala mobile infatti conduceva, a suo dire, a un aumento
del salario reale ( a causa dell’impossibilità per gli imprenditori di
scaricare tutto l’aumento salariale sui prezzi) determinando così un
peggioramento della bilancia commerciale italiana (le importazioni
sarebbero aumentate, mentre le esportazioni sarebbero diminuite).
Inoltre l’occupazione sarebbe calata. In definitiva, secondo Modigliani,
il meccanismo della scala mobile tutelava i lavoratori attivi a
discapito dei disoccupati. Era quindi nell’interesse dei lavoratori
stessi, e compito dei loro sindacati, cancellare la scala mobile e
accettare un livello salariale più basso, che fosse compatibile con la
piena occupazione. Inoltre la riduzione del costo del lavoro avrebbe
fermato l’inflazione.
In
sostanza i lavoratori ci avrebbero guadagnato rispetto alla situazione
che stavano vivendo: mentre la scala mobile generava inflazione e
disoccupazione (tutelando solo una parte della forza lavoro), con le sue
proposte si sarebbe sconfitta l’inflazione e si sarebbe ottenuta la
piena occupazione. A fronte di un sacrificio momentaneo, si sarebbero
quindi potuti ottenere benefici successivi.
Graziani: conflittualisti o compatibilisti
La
figura di Modigliani rendeva le sue proposte interessanti all’interno
del dibattito degli anni ’70. Questo è stato il decennio che ha segnato
la crisi del pensiero keynesiano e dell’efficacia delle politiche
economiche di intervento pubblico contro la disoccupazione e la crisi.
Modigliani si considerava, ed era considerato, un rinomato economista
keynesiano del Mit, e in quanto tale le sue proposte raccolsero
l’attenzione tanto accademica quanto della pubblica opinione.
La risposta più dura alle sue analisi e alle sue proposte venne dall’economista Augusto Graziani.
Graziani
vedeva infatti nelle proposte di Modigliani (e di Padoa Schioppa,
coautore di un importante articolo del 1977(1)) una riaffermazione
“aggiornata” dei principi marginalisti. Questi legavano in modo
biunivoco il prezzo di una merce (in questo caso il salario) con la
quantità acquistata di questa merce (in questo caso la forza lavoro):
qualsiasi deviazione da questo equilibrio di mercato avrebbe causato
disoccupazione (una minore quantità) e inflazione (per l’aumento dei
salari oltre l’equilibrio). L’unica differenza rispetto ai criteri
classici era che il livello salariale era determinato dall’accettazione
dei lavoratori piuttosto che dalla domanda e dall’offerta. Questa
posizione veniva definita da Graziani come “compatibilista”(2).
Al
contrario Graziani riteneva (come altri economisti) che la società
fosse divisa in classi e che il livello salariale fosse determinato dal
risultato del conflitto tra le classi. In questo visione non esisteva un
solo livello salariale possibile, ma le soluzioni sarebbero state
molteplici. Questa impostazione veniva definita dallo stesso Graziani
come conflittualista(3).
Un
aumento dei salari avrebbe quindi determinato un aumento dei consumi,
con una ripresa dell’economia e attraverso essa miglioramenti
occupazionali.
Il Pci e la Cgil: accettazione delle proposte neo-liberali
Negli
anni ’70 il Partito Comunista Italiano era ancora il maggiore partito
di opposizione: raccoglieva più di un terzo dei voti, aveva oltre un
milione e mezzo di iscritti, possedeva giornali e radio, e aveva attorno
a sé una miriade di organizzazioni sociali. Tra di esse la Cgil, che
organizzava milioni di lavoratori. Sebbene sia sempre stato
all’opposizione, il Pci aveva un forte capacità di influenza su una
parte consistente della società italiana.
Il ruolo di partito che aspirava a governare lo obbligava a prendere parte nel dibattito sulla crisi.
Di
questo tema si occupò il Cespe (Centro Stuti sulle Politiche
Economiche), vicino al Pci, organizzando un convegno nel 1976, al quale
partecipò lo stesso Modigliani. In quell’occasione, il direttore del
Cespe Peggio sostenne che era necessario prendere in considerazione la
tendenza di alcune variabili come la produttività o i salari di altri
paesi industrializzati e che i sindacati avrebbero dovuto accettare una
diminuzione del salario in cambio di investimenti produttivi e sociali
in un dato termine di tempo(4). In questo modo i sindacati avrebbero
veramente tutelato i lavoratori e il salario. Parole queste sottoscritte
da Modigliani. In un passaggio il Rapporto del Cespe sull’Economia
Italiana sosteneva:
“Una strategia basata solamente sulla riduzione del salario sarebbe difficile da raggiungere e produrrebbe, da sola, un effetto temporaneo. […] [non devono essere escluse] misure di contenimento dei redditi monetari [e in ogni caso] il costo del lavoro per unità di prodotto espresso in moneta nazionale non dovrebbe crescere, nel medio termine, più che nei paesi competitori dell’Italia”(5)
Una
conseguenza del processo iniziato dalle proposte di Modigliani era la
liberalizzazione dei mercati. Come scrisse insieme a Padoa Schioppa
“è la competizione che protegge i lavoratori salariati, non i sindacati, ed è la competizione che dovrebbe essere incoraggiata in ogni modo, attraverso le legislazioni anti-trust, attraverso la rimozione delle barriere che impediscono scambi più efficienti, attraverso la competizione internazionale”(6).
E’
lecito domandarsi come il Partito Comunista (o una parte di esso)
potesse non vedere le conseguenze di queste posizioni(7). Come descrisse
bene Graziani infatti
“Il documento del Cespe si muove in una logica economica apertamente borghese e non marxista. Infatti, leggendo questa analisi, condotta interamente in termini di efficienza di mercato, competitività, prezzi, produttività, tassi di cambio, tassi finanziari etc, si ottiene l’impressione che il documento muova in un’area di economia borghese, che idealizza un capitalismo di perfetta competizione”(8)
accusava gli economisti del Cespe di voler stabilire
“una seconda restaurazione capitalista”(9)
E’
più ragionevole pensare che questa sia una delle manifestazioni del
mutamento che si attuò all’interno del Partito Comunista Italiano negli
anni ’70 e che portò, 15 anni dopo, alla sua morte.
Come è stato osservato, “un metro di ghiaccio non si forma in una notte di gelo”(10).
Il processo che ha portato alla fine del Pci è stato lungo ed è stato
composto da tanti mutamenti intermedi. Come osserva Liguori:
“mentre la gran parte del Pci restava radicata nel paese, si contrapponeva orgogliosa agli attacchi dell’avversario più ringhioso [...] parti importanti del partito, non solo nel gruppo dirigente, a iniziare dagli anni ’70 erano andate mutando molecolarmente la propria cultura politica e abbracciavano ormai punti di vista e culture politiche diverse. Erano divenuti parte (subalterna) di un diverso sistema egemonico.”(11)
Conclusioni: la svolta economica prima della svolta politica
Ben
prima della svolta “politica” della Bolognina c’è quindi stata una
svolta “economica”, necessaria a creare le basi ideologiche per la
prima.
Come osserva Cattabrini
“Il risultato, alla fine, fu di attribuire al costo del lavoro la principale responsabilità in termini di crescita dell’inflazione e compressione dei profitti, permettendo politiche di compressione del salario e di miglioramento della profittabilità. Da un punto di vista analitico, nell’opinione di Graziani questo significava la diffusione dell’approccio neomarginalista, o della “teoria della compatibilità”, secondo cui la classe lavoratrice dovrebbe accettare un certo livello di salario reale per il proprio stesso interesse: sia in termini di beneficio aggregato che ciascun lavoratore otterrebbe in termini di riduzione della disoccupazione; sia per il maggiore potere d’acquisto che otterrebbe una volta sconfitta la battaglia contro l’inflazione.”(12)
Il
fatto che oggi si debbano scrivere libri in cui si sottolinea l’idea
che le politiche di austerità e di compressione salariale siano di
destra, e reazionarie e contrarie agli interessi della classe
lavoratrice(13), indica quanto a fondo siano penetrate queste idee nel
senso comune dei lavoratori italiani. E mostra come il dibattito delle
idee sia importante e addirittura decisivo nei rapporti di forza
sociali.
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Questo articolo è basato sulla lettura di
Francesco Cattabrini, 2012.
"Franco Modigliani and the Italian Left-Wing: the Debate over Labor Cost (1975-1978),"
HISTORY OF ECONOMIC THOUGHT AND POLICY,
FrancoAngeli Editore, vol. 0(1), pages 75-95.
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Note
(1) Modigliani F. e Padoa Schioppa T. (1977), La politica economica in
una economia con salari indicizzati al 100% o più , Moneta e Credito,
117:3-53
(2)Per un'analisi della divisione fatta da Graziani, si consiglia la lettura di
Brancaccio E.,Realfonzo R., Conflittualismo versus compatibilismo, Il pensiero economico italiano, 2008 ,XVI.
In particolare, sui compatibilisti
(2)Per un'analisi della divisione fatta da Graziani, si consiglia la lettura di
Brancaccio E.,Realfonzo R., Conflittualismo versus compatibilismo, Il pensiero economico italiano, 2008 ,XVI.
In particolare, sui compatibilisti
"Da un lato c’è chi ritiene che in un sistema capitalistico il livello, la composizione e soprattutto la distribuzione del prodotto sociale scaturiscano dal comportamento di operatori economici indifferenziati, vincolati nella loro azione dal perseguimento di criteri di efficienza del tutto
generali, rispetto ai quali un intervento non compatibile da parte di qualsivoglia gruppo sociale o politico rappresenterebbe un’improvvida deviazione (è il caso questo dei compatibilisti)."
(3) Brancaccio E., Realfonzo R.,
(4) Come si può notare immediatamente questa è la stessa idea sottesa agli accordi del Luglio 1993
"Dall’altro lato, invece, c’è chi contesta le basi logiche di quei criteri di efficienza e considera piuttosto la produzione e la distribuzione come il risultato
dell’antagonismo tra le classi sociali, dei rapporti di forza tra di esse e del contesto politico e istituzionale che quei rapporti tendono continuamente a plasmare (è la posizione dei conflittualisti)"
(4) Come si può notare immediatamente questa è la stessa idea sottesa agli accordi del Luglio 1993
(5) Cattabrini , p.90 (trad. mia)
(6) In Cattabrini , nota p.87 (trad. mia)
(7) Una parte del Pci (quella cosidetta migliorista) già allora
condivideva punti di vista e analisi proprie della visione liberale.
Morando E., Riformisti e comunisti? Dal Pci al Pd. I “miglioristi” nella politica italiana. 2010, Donzelli editore
Morando E., Riformisti e comunisti? Dal Pci al Pd. I “miglioristi” nella politica italiana. 2010, Donzelli editore
“[L’area riformista del Pci] aveva assunto progressivamente come proprio asse di riferimento la prospettiva della sintesi tra liberalismo e socialismo riformista, ma aveva dovuto farlo con le cautele necessarie per rendere quell’innovazione compatibile con la loro appartenenza a un partito comunista” P. 85
(8) In Cattabrini , nota p.91 (trad. mia)
(9) In Cattabrini , p.90
(10) Diliberto O, Giacché V., Sorini F., Ricostruire il Partito Comunista , 2011, Simple Edizioni, P. 267
(11) Liguori G. , La morte del Pci , ManifestoLibri, 2010, p.10
(12) Cattabrini , p.91 (Trad. mia)
(13) Brancaccio E. , Passarella M. , L'austerità è di destra. E sta distruggendo l'Europa , Il saggiatore, 2012
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