di Angelo Panebianco
Non è un caso che nelle democrazie occidentali
che utilizzano il sistema elettorale proporzionale viga la lista
bloccata, non le preferenze. Poiché le preferenze non sono affatto, come
pensano gli ingenui e come recita una propaganda interessata, un modo
per «dare al cittadino la possibilità di scegliere». Le cose funzionano
assai diversamente. Le preferenze sono lo strumento mediante il quale i
candidati, e gli eventuali gruppi di interesse nazionali o locali che li
appoggino, entrano in competizione con gli altri candidati del loro
stesso partito. Con le preferenze, alla lotta (esterna) fra i partiti
viene in larga misura sostituita la lotta (interna) fra i candidati del
medesimo partito. Questa distorsione permanente del gioco democratico
indotta dalle preferenze non è l’unica conseguenza grave ma è certamente
la più grave.
Però, dicono i nostalgici della Prima Repubblica,
in Italia abbiamo avuto le preferenze per decenni, fino ai primi anni
Novanta. Vero, ma si davano allora due condizioni che non esistono più.
La prima condizione era rappresentata dal fatto che il sistema politico
era bloccato, non c’era possibilità di alternanza (i comunisti non
potevano vincere). In un sistema privo di alternanza, con i
democristiani e i loro alleati ininterrottamente al governo, le
preferenze funzionavano da surrogati. Non potendoci essere vera
competizione per il potere fra maggioranza e opposizione, le preferenze
servivano soprattutto a garantire competizione (e alternanza) fra le
correnti e i gruppi interni ai partiti di governo.
Ma c’era anche una seconda condizione che
oggi non esiste più (anche se fra i politici attuali ci sono diversi
aspiranti suicidi che preferiscono ignorarlo): il voto di scambio non
era reato. Nessuno poteva essere penalmente perseguito per voto di
scambio. E le preferenze erano per l’appunto il principale meccanismo di
raccolta del voto di scambio. Ma davvero, reintroducendo le preferenze,
volete fare un così grande piacere a tutti quelli che godono quando
vedono politici inquisiti o, meglio ancora (dal loro punto di vista), in
galera? Il voto di scambio, all’inizio però con forti limitazioni
(riguardava allora solo il caso dei rapporti mafia-politica), è
diventato reato in Italia nei primi anni Novanta. Ma la legge Severino
sulla corruzione, approvata ai tempi del governo Monti, ne ha ora
allargato notevolmente l’ambito di applicazione.
Chiunque parli oggi di preferenze
farebbe bene a leggere con attenzione quella legge. Si noti per giunta
che la criminalizzazione (in senso letterale: la penalizzazione, la
trasformazione in reato penale) del voto di scambio, è avvenuta in un
Paese che, per ragioni culturali, non è mai stato capace di chiarire a
se stesso quale sia il confine fra il lecito e l’illecito, fra la
normale, normalissima (svolta da tutti i Parlamenti democratici)
rappresentanza degli interessi, e la corruzione parlamentare. La prova
di questa incapacità culturale è data dal fatto che l’Italia non è mai
stata in grado di regolamentare il lavoro delle lobby . È in un Paese
siffatto che volete reintrodurre le preferenze? In tempi, oltre a tutto,
di grande attivismo giudiziario?
Soprattutto i partiti con vocazione governativa,
i partiti che hanno ottime probabilità di andare al governo, dovrebbero
tenersene alla larga. Quanto tempo dopo le elezioni comincerebbero a
fioccare gli avvisi di garanzia per i politici entrati in Parlamento con
un bel gruzzolo di preferenze? I leader nazionali, certamente,
prenderanno tante preferenze «spontanee» e nessuno li accuserà di voto
di scambio. Così come accadrà a qualche esponente di movimenti di
protesta. Ma che dire delle seconde, terze e quarte file dei partiti di
governo, di quei tanti signor Nessuno che risulteranno molto bravi
nell’organizzazione del consenso?
Il vero scopo politico di chi vuole le preferenze è chiaro:
tentare di indebolire i leader più forti, e in particolare Renzi,
impedire loro di dare vita, alle prossime elezioni, a gruppi
parlamentari a propria immagine e somiglianza. Ad esempio, grazie alle
preferenze, la Cgil può sperare di fare eleggere nel Pd qualche
candidato in più fra i propri a scapito dei renziani. Analogo discorso
vale per altri gruppi organizzati (oltre che per diversi notabili
esperti nella raccolta di voti) sia a sinistra che a destra. Lo scopo è
evidente ma i costi collettivi sarebbero elevati. Anche a tacere del
grande spreco di denaro che la lotta per le preferenze porta con sé, e
di tutte le altre disfunzioni connesse, non ci serve una democrazia
nella quale i candidati più prudenti siano costretti ad impegnarsi nella
campagna elettorale accompagnati dai loro avvocati .
3 agosto 2014 | 08:23
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