La macchina regionale, elefantiaca, costosa, inefficiente, non ha altro obiettivo che alimentare se stessa. È il primo motore immobile di platonica memoria: esiste per se stesso.
Ogni volta, e capita spesso, che le cronache si occupano dell’esercito
di dipendenti regionali, ed affiliati, con titoloni sui grandi giornali o
i fogli locali, ognuno tira fuori una cifra, che non è mai la stessa.
Nemmeno chi sta al governo conosce esattamente il loro numero.
Quando si danno informazioni sulla macchina della Regione siciliana,
si rimane nel cerchio magico, si dà conto e ragione delle promozioni,
bocciature e trasferimenti di una ventina di alti dirigenti. Il mondo
comincia e finisce con i mega direttori generali, oggetto di dispute
politiche e partitiche interminabili, negli uffici di gabinetto,
segreterie, apparati, commissioni legislative. Gossip politico,
confronto brutale d’interesse, lottizzazione. Invece che pesare le
competenze, si guarda al budget e si stila una classifica dei “poteri”:
più alto è il budget, più il megadirettore generale conta. In passato
esisteva un manuale Cencelli anche per loro, che prevedeva una conta
“verticale” piuttosto che orizzontale per procedere alla distribuzione
delle nomine.
La macchina della Regione ha una missione:
raggiungere il distributore di risorse più vicino, facendo le divine e
umane cose per raggiungerlo. Una volta esaurita la missione, la macchina
è abituata a fermarsi, guardarsi attorno e godere l’effimero successo
ottenuto.
Naturalmente, non c’è bisogno di Alonso o Rosberg alla guida.
Va bene chiunque. Certo, ci deve pur essere qualcuno che sta al
volante, che mette le firme e sceglie il percorso più rapido e agevole
per raggiungere il deposito di risorse, ma se il conducente dovesse
abbandonare lo sterzo e girarsi dall’altra parte non accadrebbe
assolutamente nulla. Alimentare la macchina e dotarla di carburante è
una operazione automatica, come mettere il piede sul freno o sulla
frizione.
Poiché occorre aprire strade, asfaltarle, per rendere agibile i luoghi
in cui la macchina deve muoversi, cioè la Sicilia, è indispensabile
occuparsi dell’agibilità del tragitto e dei residenti. È vero che la
macchina vive per se stessa, ma è altrettanto vero che non può
trascurare il contesto per continuare ad esistere.
Come hanno imparato, a loro spese, anche provetti piloti, e drivers rivoluzionari, con una grande fiducia in se stessi, la qualità della guida è ininfluente o quasi.
Da settanta anni circa le cronache raccontano l’esercito dei regionali
con accenti preoccupati, indignati, esprimendo dissenso, contrarietà, o
auspici. Come se quei trenta-cinquanta mila uomini e donne, l’esercito
dei regionali, avesse lo stesso volto, la stessa testa, gli stesi
bisogni. Un esercito di terracotta. Identificati i megadirettori, i
condottieri, non serve altro.
La nostra modesta proposta, parafrasando Swift,
è scegliere fra i metodi cruenti dell’Isis, che spogliano e poi passano
per le armi gli “infedeli”, metodi che aborriamo naturalmente (ma
servono a enfatizzare la questione oggetto della nostra riflessione), o
scoprire quanti e quali opportunità offre una platea così vasta di
uomini e donne siciliani che, per quanto ne sappiamo, possiede energia,
volontà e professionalità utili da esplorare le abilità. Si potrebbe,
dunque, immaginare una macchina in grado di oltrepassare il confine
della sopravvivenza.
La nostra esperienza ci induce a credere che le risorse umane,
fin qui sepolte da ignobili abitudini, superficialità, ignoranza,
interessi di bottega possano essere proficuamente utilizzare per provare
a cambiare le cose. Scoprire le persone valide e valorizzarle,
mettendole “a reddito”, è impresa improba, perfino velleitaria, ma non
impossibile come la pretesa di cambiare la classe dirigente siciliana
nell’arco di una generazione.
È ipotizzabile uno screening di regionali, uomini e donne,
diligenti e competenti? La risposta è positiva a patto che si affidi,
all’insaputa dei rasi locali, il compito-mission a chi fa questo lavoro
per mestiere. Oltre lo Stretto. Molto oltre.
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