In tre anni si sono moltiplicate le tasse sui risparmi: tutte insieme fanno pensare a una sorta di patrimoniale. L'attuale ministro dell'Economia non ha mai nascosto di voler spostare le tasse dalle imprese e dai cittadini sulle rendite finanziarie. Sale dal 20 al 26% la tassazione del risparmio amministrato
di ANDREA GRECO
MILANO - Non è ancora una
patrimoniale, la parola è un tabù da evitare con cura per un politico
italiano. Eppure, dopo la moltiplicazione dei bolli di metà 2011 sui
depositi titoli (governo Berlusconi), gli aumenti di aliquote dal 12,5
al 20% di gennaio 2012 su titoli, fondi e conti di deposito (governo
Monti), gli aumenti dei bolli dallo 0,15 allo 0,20% a gennaio (governo
Letta), ora arriva la nuova norma del governo Renzi che dal 1° luglio
innalza dal 20 al 26% la tassazione sul risparmio amministrato e i conti
di deposito. Tutti insieme, questi provvedimenti fanno pensare a una una patrimoniale.
Una stangata fiscale sulle rendite che dovrebbe però essere compensata
con la riduzione sulla tassazione del lavoro e delle imprese, secondo un mantra del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan.
Anni di crisi hanno ampliato le disparità sociali, specie in Italia
dove il mondo del lavoro ha ceduto prestigio e potere di acquisto,
rispetto a quello sempre verde delle rendite. Il problema è che il fisco
domestico, che marcia a un ritmo di una nuova norma alla settimana,
ancora una volta fa molto per complicare la vita al contribuente, quanto
meno alla parte di italiani che le tasse le vuole o le deve pagare.
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Milioni
di risparmiatori dovranno presto mettersi a studiare, con i loro
consulenti, per affrontare la situazione plusvalenze e minusvalenze dei
loro portafogli, e scegliere fra tre diverse opzioni. La prima, che
purtroppo dovrebbe essere la più diffusa tra chi non verrà a capo della
sfida burocratica, sarà di non fare nulla, e intestarsi così un aumento
di tassazione retroattivo, al 26%, sulle plusvalenze latenti. La seconda
si chiama opzione di affrancamento, ed è una vendita figurativa a
carico degli intermediari contemplata nei cambi di regime fiscale, con
il difetto di applicarsi all'intero portafoglio titoli (anche a quelli
che producono minusvalenze latenti, e che invece converrebbe rinviare
nel tempo, per compensare meglio, domani, l'aumento di carico fiscale
sui guadagni). La terza via è invece vendere determinati titoli, fare i
conti con il fisco al 20% e ricomprarli dopo il 1° luglio: ma in tal
caso la convenienza c'è solo con costi di transazione inferiori al 6%
delle minusvalenze teoriche. Se il lettore si è perso, non tema: la
normativa sta mettendo alla prova anche gestori e tributaristi italiani,
che pure hanno visto molto. Ma è importante districarsi, per evitare
due spiacevoli situazioni: lo scatto automatico e retroattivo
dell'aliquota nuova sui guadagni passati, o la necessità di pagare
pronta cassa una plusvalenza che non si pensava di realizzare ora ma che
in un futuro andrà spartita maggiormente con lo Stato.
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Milioni
(17 giugno 2014)
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