giovedì 21 agosto 2014

La patrimoniale del duo Renzi-Padoan. Dal primo luglio, la stangata sui risparmi

In tre anni si sono moltiplicate le tasse sui risparmi: tutte insieme fanno pensare a una sorta di patrimoniale. L'attuale ministro dell'Economia non ha mai nascosto di voler spostare le tasse dalle imprese e dai cittadini sulle rendite finanziarie. Sale dal 20 al 26% la tassazione del risparmio amministrato


MILANO - Non è ancora una patrimoniale, la parola è un tabù da evitare con cura per un politico italiano. Eppure, dopo la moltiplicazione dei bolli di metà 2011 sui depositi titoli (governo Berlusconi), gli aumenti di aliquote dal 12,5 al 20% di gennaio 2012 su titoli, fondi e conti di deposito (governo Monti), gli aumenti dei bolli dallo 0,15 allo 0,20% a gennaio (governo Letta), ora arriva la nuova norma del governo Renzi che dal 1° luglio innalza dal 20 al 26% la tassazione sul risparmio amministrato e i conti di deposito. Tutti insieme, questi provvedimenti fanno pensare a una una patrimoniale. Una stangata fiscale sulle rendite che dovrebbe però essere compensata con la riduzione sulla tassazione del lavoro e delle imprese, secondo un mantra del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Anni di crisi hanno ampliato le disparità sociali, specie in Italia dove il mondo del lavoro ha ceduto prestigio e potere di acquisto, rispetto a quello sempre verde delle rendite. Il problema è che il fisco domestico, che marcia a un ritmo di una nuova norma alla settimana, ancora una volta fa molto per complicare la vita al contribuente, quanto meno alla parte di italiani che le tasse le vuole o le deve pagare.

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Milioni
di risparmiatori dovranno presto mettersi a studiare, con i loro consulenti, per affrontare la situazione plusvalenze e minusvalenze dei loro portafogli, e scegliere fra tre diverse opzioni. La prima, che purtroppo dovrebbe essere la più diffusa tra chi non verrà a capo della sfida burocratica, sarà di non fare nulla, e intestarsi così un aumento di tassazione retroattivo, al 26%, sulle plusvalenze latenti. La seconda si chiama opzione di affrancamento, ed è una vendita figurativa a carico degli intermediari contemplata nei cambi di regime fiscale, con il difetto di applicarsi all'intero portafoglio titoli (anche a quelli che producono minusvalenze latenti, e che invece converrebbe rinviare nel tempo, per compensare meglio, domani, l'aumento di carico fiscale sui guadagni). La terza via è invece vendere determinati titoli, fare i conti con il fisco al 20% e ricomprarli dopo il 1° luglio: ma in tal caso la convenienza c'è solo con costi di transazione inferiori al 6% delle minusvalenze teoriche. Se il lettore si è perso, non tema: la normativa sta mettendo alla prova anche gestori e tributaristi italiani, che pure hanno visto molto. Ma è importante districarsi, per evitare due spiacevoli situazioni: lo scatto automatico e retroattivo dell'aliquota nuova sui guadagni passati, o la necessità di pagare pronta cassa una plusvalenza che non si pensava di realizzare ora ma che in un futuro andrà spartita maggiormente con lo Stato.
(17 giugno 2014)

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