Tang Hui era stata punita perché chiedeva giustizia per sua figlia: la 11enne era stata rapita e violentata da un gruppo
PECHINO - Dopo sette anni di battaglia legale la madre di una bambina rapita e violentata ha avuto giustizia. E 326 euro di risarcimento. Il caso è diventato celebre in Cina perché anche la donna, Tang Hui, aveva subito la violenza delle istituzioni: era stata chiusa in un «laojiao», un campo di lavori forzati, con l’accusa di aver turbato l’ordine sociale con le sue accuse di collusione rivolte alla polizia. LA VIOLENZA - Il fatto era successo nel 2006 nella zona di Changsha, nel centro della Cina. La figlia di Tang Hui, 11 anni, era stata presa, violentata e costretta a prostituirsi. La madre l’aveva ritrovata tre mesi dopo in un bordello, sconvolta. Da allora aveva cominciato una campagna coraggiosa per ottenere la punizione dei colpevoli. Nelle sue petizioni, oltre ai sette autori materiali del sequestro e organizzatori del giro di prostituzione, Tang Hui aveva denunciato anche un gruppetto di poliziotti locali che secondo lei avevano cercato di coprire gli sfruttatori. A giugno del 2012 due dei sette sequestratori erano stati condannati a morte, quattro all’ergastolo e il settimo a 15 anni di carcere. Ma i poliziotti non avevano dimenticato l’accusa contro di loro lanciata da Tang Hui. E ad agosto del 2012 la madre era stata mandata per 18 mesi in campo di lavoro per «aver gravemente turbato l’ordine sociale». Questa condanna-vendetta aveva fatto scandalo.
RISARCIMENTO MA NIENTE SCUSE FORMALI - Il «laojiao» è un sistema di punizione arbitrario, mirato alla «riabilitazione attraverso il lavoro forzato», lasciato alla discrezione della polizia. Sull’onda delle proteste, Tang Hui era stata liberata una settimana dopo. Ora la corte d’appello di Changsha ha accordato a Tang Hui un risarcimento di 2.641 yuan (326 euro) per «danni psicologici». Lei chiedeva anche una lettera di scuse formali da parte della polizia. Ma questo la corte non ha voluto concederlo, sostenendo che bastano le scuse pronunciate in aula dalle «persone interessate». Tra queste c’era anche l’ufficiale di polizia Jiang Jianxiang (che è anche vicesindaco di Yongzhou, la località dove si svolsero i fatti drammatici). E Jiang in tribunale, sette anni dopo, ha ammesso di «non aver agito con sufficiente umanità».
15 luglio 2013 | 15:31
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