giovedì 23 maggio 2013

La nostra alluvione quotidiana

Ilvo Diamanti La nostra alluvione quotidiana Il Bacchiglione in piena (ansa) Da casa mia, oggi, non riesco a vedere il Pasubio. Ma si indovinano, a fatica, anche i Lessini, che distano pochi chilometri. Avvolti nelle nuvole, tanto basse e scure, tanto dense e pesanti: sembra, quasi, che ci cadano addosso. Invece si sciolgono. E si rovesciano su di noi. Da due giorni piove in modo incessante. Qui, nei dintorni di Vicenza. Come nella Pedemontana veneta. Da Verona a Treviso. Scroscia, scroscia e scroscia ancora. In modo violento. Qualche pausa, breve. E poi riprende.
In un giorno e mezzo è caduta tanta pioggia come, mediamente, in due mesi. Così è tornato l'allarme. Due anni e mezzo dopo l'alluvione del 2 novembre 2010. L'acqua è salita in tutti i torrenti, nelle campagne tra Caldogno e Vicenza. Il Bacchiglione è in piena. Ho appena attraversato i ponti, a Cresole e, poi, all'ingresso di Vicenza, prima di imboccare via S. Antonino. L'acqua gonfia il fiume e sfiora i ponti. I campi, d'altronde, sono allagati, in diversi punti. Vicenza è in stato di emergenza. Le scuole chiuse, molte strade non accessibili. Per precauzione. L'alluvione dell'autunno 2010, inattesa, ha travolto ogni argine e ogni sicurezza. Così, da allora l'allarme scatta, dopo ogni pioggia più intensa e lunga del solito. Un evento, peraltro, sempre più frequente. Perché è cambiato il clima. Lo diciamo sempre, ma è vero. Le precipitazioni sono sempre più simili a uragani. Qualche volta, a monsoni. Così, negli ultimi tempi è cambiata anche l'attenzione. È cambiato l'atteggiamento delle persone e delle amministrazioni. I torrenti e i fiumi hanno cominciato ad essere considerati come pericoli incombenti. E, dopo decenni di fatalistico immobilismo, sono iniziati lavori di riassetto, lungo il greto dei corsi d'acqua. Me ne sono reso conto anch'io, perché, quando ho tempo, risalgo gli argini del Bacchiglione in bici. Ma da un anno mi riesce sempre più difficile. Perché sono inagibili, bloccati dalle ruspe. Tuttavia, le opere di riassetto, oggi, non riescono e non possono rimediare a un problema degenerato nel corso degli anni. La riduzione del territorio a una plaga immobiliare. A una campagna urbanizzata e industrializzata. Dove la crisi immobiliare ed economica non ha, ovviamente, ridotto le aree edificate. Le ha rese solamente più deserte. Ogni piccolo uragano, ogni piccolo monsone, così, rischia di far esondare i corsi d'acqua - peraltro numerosi - che attraversano questa zona. Perché il territorio non è in grado di sopportare, né di assorbire le piene improvvise. È una storia, peraltro, nota. Anche altrove, in Italia. Per restare agli ultimi anni: dalla Maremma alle Cinque Terre, da Orvieto a Genova. A Messina... Dovunque il degrado dell'ambiente si è prodotto e riprodotto senza "argini". Così le tragedie si susseguono, con grande emozione e grande rimozione. Grandi esplosioni polemiche e grandi silenzi colpevoli. Oggi, nonostante tutto, non si respira il clima di emergenza del recente passato. Lungo la strada che da Caldogno conduce a Vicenza, sono poche le case che, davanti agli ingressi, hanno disposto i sacchetti di sabbia, per precauzione. I negozi sono aperti, nei garage ci sono ancora le auto. Proseguendo, dopo il ponte del Marchese, sulla destra, dove fino a qualche anno fa c'era l'aeroporto civile "Dal Molin", ora si erge il villaggio militare americano. È sorto in fretta. Imponente. Una piccola Manhattan. In mezzo al (poco) verde (rimasto). E alle acque. Fra poco verrà popolato dai militari USA, impegnati nelle missioni "di pace" in Medio Oriente. E in Oriente. Con un occhio a quel che avviene nell'(ex)URSS. Il nostro paesaggio: è cambiato e sta cambiando ancora. Ma noi ci siamo assuefatti. A ogni cambiamento: del territorio, del clima, dello spazio, dell'ambiente. Neppure le alluvioni, ormai, ci spaventano. Né le piccole metropoli che sorgono, in fretta, accanto a noi. Non ci stupiamo più di nulla. Le emergenze sono divenute la normalità. Ed è questo il rischio peggiore, per noi. L'abitudine. Che ci rende ciechi, sordi. E indifferenti. Senza occhi, senza orecchie. Senza naso. E, purtroppo, anche senza cuore. (17 maggio 2013)

Nessun commento: