I giudici bloccano 12 società, 220 fabbricati, 133 tra appezzamenti, uliveti e vigneti. L'imprenditore di Castelvetrano è stato condannato a 12 anni ed è ritenuto il prestanome del superlatitante Matteo Messina Denaro
Il “re” ha perso il suo trono. Definitivamente. Giuseppe Grigoli, 64 anni, imprenditore di Castelvetrano, condannato a 12 anni per associazione mafiosa e ritenuto prestanome del super latitante Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993. Grigoli ha subito la confisca dei suoi beni, in totale 700 milioni di euro, a cominciare dalla
catena commerciale Despar della quale per decenni è stato deus ex machina tra le province di Trapani, Agrigento e Palermo.
La confisca riguarda 12 società cominciando dalla capofila, il Gruppo 6 Gdo, punto di eccellenza un maxi centro commerciale, il Belicittà di Castelvetrano, e poi ancora 220 fabbricati tra palazzine e ville, 133 appezzamenti di terreni, uliveti e vigneti per un totale di 60 ettari.
Tutte aree di campagna ricadenti in quell’area del Belice, da Zangara a
contrada Seggio, dove i boss mafiosi siciliani a cominciare da Totò Riina, per continuare con Bernardo Provenzano e i Messina Denaro,
avevano fatto incetta di terreni con l’idea che in quei luoghi doveva
sorgere negli anni ’90 la “Castelvetrano 2”, un maxi complesso
immobiliare che avrebbe dovuto ricalcare la più famosa “Milano 2” di
marca berlusconiana.
Quello
confiscato è un “pezzo” consistente del “potere economico” della nuova
“Cosa nostra”, dove gli “affiliati” sono diventati tali senza la
classica “punciuta”, i nuovi uomini d’onore sono diventati
professionisti, colletti bianchi e imprenditori, come Grigoli. E’ questa
la “nuova mafia” che nelle mani di Matteo Messina Denaro è oggi una holding
imprenditoriale, “cassaforte” di soldi sporchi, tanto denaro da
garantire un’incredibile “dote” di liquidità. La confisca contro
Grigoli, che una volta libero sarà per quattro anni soggetto alla
sorveglianza speciale, arriva dopo un intenso lavoro di “caccia” ai
denari del capo mafia latitante condotto dalla Dia di Trapani,
a mettere a punto il puzzle degli intrecci economici il Tribunale delle
misure di prevenzione. Il collegio presieduto dal giudice Grillo ha
accolto le richieste del pm Andrea Tarondo, il magistrato che proprio di
recente si è visto destinatario di una intimidazione: nelle ore in cui i
giudici depositavano la loro decisione contro Grigoli, guarda caso in
un supermercato di Castelvetrano, dietro la porta di un magazzino, un
locale non soggetto a video sorveglianza, qualcuno armato di un
punteruolo ha lasciato scritto un inquietante messaggio, “Tarondo la tua
ora è arrivata”.
Negli anni 70 Grigoli gestiva a Castelvetrano un piccolo negozio di alimentari. Dichiarava un reddito annuo di appena tre milioni e 372mila
lire, circa 1.740 euro attuali, ben altra cosa rispetto alle milionarie
proprietà raggiunte negli anni 2000. Nel periodo di maggiore espansione
imprenditoriale, tra il 1999 ed il 2002, Grigoli ha condotto operazioni
bancarie «per contanti» con depositi superiori ai 600 milioni di
vecchie lire. Soldi che, secondo l’accusa, provenivano dalle casseforti
segrete della mafia di Messina Denaro. E tutto sarebbe avvenuto sotto
l’occhio vigile proprio di Matteo Messina Denaro. Secondo alcune
intercettazioni - gli investigatori in una occasione ascoltarono due
donne che si raccontavano un fatto appreso dai mariti, collaboratori di
Grigoli – aveva l’abitudine di girare camuffato per Castelvetrano così
da potere frequentare gli uffici di Grigoli. Una curiosità: Grigoli era
un cultore delle cose antiche e belle, tra i beni a lui confiscati anche
una Fiat 500 di epoca, anno 1952.
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