23 settembre 2013 - 21:53
L’isola illegale/2
Pubblicità, come trasformare un rudere in miniera d’oro

di Salvatore Parlagreco -
Ci sono più antenne tv sui tetti delle nostre case che impianti di pubblicità nelle strade?
“Che domanda è?”, vi state chiedendo. Cosa volete che importi stabilire se la selva di antenne è più folta dei cartelloni pubblicitari che invadono le nostre città. Tanto dobbiamo sopportare gli uni e gli
altri: il nostro è il mondo dell’immagine, non c’è che fare.
La percezione della realtà induce a credere che siano più le antenne che gli impianti pubblicitari.
Ma potrebbe non essere così. Non lo sapremo mai, perché una
ricognizione degli impianti pubblicitari è una impresa quasi impossibile. Ce ne sono di ogni tipo, colore, dimensione, misura. Si trovano ovunque. Anche dove non dovrebbero esserci.
ricognizione degli impianti pubblicitari è una impresa quasi impossibile. Ce ne sono di ogni tipo, colore, dimensione, misura. Si trovano ovunque. Anche dove non dovrebbero esserci.
Il mondo della cartellonistica, annessi e connessi, è il meno vigilato d’Italia. Controlli
zero, o quasi, specie nel Sud. Ed in grandi città, come Palermo, le
cose non vanno meglio, tutt’altro: a Palermo vige un regolamento della
pubblicità, ma non c’è un piano degli impianti, essenziale per concedere
concessioni ed autorizzazioni, perciò il regolamento è come se non ci fosse.
Odora di muffa a prima vista. Leggendolo sul portale del Comune di
Palermo, ci si accorge che indica le imposte da pagare in lire: è
vecchio di quasi venti anni, un brutto indizio. È prevalsa la necessità
di lasciare cose come stanno. Indolenza? Mah…
Eppure, la pubblicità dovrebbe essere supervigilata,
i comuni potrebbero aggiustare i conti in rosso, e invece pare che
facciano regali a pochi intimi: i pubblicitari svolgono il loro mestiere
con disinvoltura, in regime di monopolio, taci maci, e godono di una
invidiabile rendita di posizione.
La pubblicità nelle città, in qualunque forma, è un business colossale
dell’ordine di una decina di milioni di euro l’anno nel solo capoluogo
dell’Isola. Sull’intero territorio regionale i milioni possono essere
anche dieci volte di più. Se si tiene conto anche dell’indotto, il
budget si alza in modo esponenziale. Roba grossa, insomma.
Chi è proprietario degli impianti, o li gestisce per conto terzi, e monopolizza le affissioni, possiede ciò che serve per partecipare – o affiancare la partecipazione – alle campagne comunicazionali promosse dalla pubblica amministrazione e dai privati.
E qui il pozzo è senza fondo, come ha dimostrato l’inchiesta Mala
Gestio della Procura di Palermo, che ha mandato in galera diciassette
persone, politici e alti funzionari.
Stando alla tesi accusatoria della magistratura,
il manager della comunicazione, Faustino Giacchetto, non avrebbe potuto
“chiudere” i bandi di gara della Regione senza i pubblicitari delle
affissioni (due sono stati iscritti nel registro degli indagati). Non
c’è campagna pubblicitaria regionale che possa essere promossa e
sviluppata senza il beneplacito di coloro che possiedono in larga misura
gli impianti pubblicitari sull’intero territorio siciliano.
Nell’immaginario popolare, tuttavia, gli attacchini sono i parenti poveri della pubblicità,
mentre è vero esattamente il contrario, sono quelli che fanno i
migliori affari, all’ombra della politica e delle istituzioni. C’è
infatti anche questo versante, la politica, che sostiene i detentori degli spazi pubblicitari. Nelle campagne elettorali, infatti, l’investimento in pubblicità è il più oneroso.
Potere contare sulla bonomia degli imprenditori pubblicitari è
estremamente importante, significa risparmiare un sacco di soldi.
L’elasticità, per usare un eufemismo, con cui viene gestito il settore della pubblicità
concede vantaggi consistenti sia ai concessionari degli impianti, che
sono pochi e molto solidi, quanto agli amministratori pubblici.
Favorendo il business, si può contare sullo scambio dei favori nel momento topico, la campagna elettorale.
Il business è così stuzzicante che anche gli editori – carta stampata compresa –
stanno entrando, acquistando gli impianti nelle grandi città, come
Palermo e Catania. Trattandosi di cifre importanti e di un settore che
non conosce crisi, o quasi, si sgomita, si lotta al coltello. Il
contenzioso, dunque, è duro, e generalmente costringe alla resa i più
deboli. Resiste chi ha le spalle larghe e può contare su amicizie influenti.
È, quindi, un business per una elìte. Uno screening potrebbe indurre in
errore, rivelando una tendenza alla proliferazione di società. Ma
appena si guarda sotto il tappeto, si scopre che la frammentazione è
funzionale al monopolio, un mascheramento dunque.
L’assenza di un piano degli impianti, come nel caso della città di Palermo,
permette di sfuggire alla normativa sull’attribuzione delle concessioni
e concede la manica larga nelle autorizzazioni. Nel mondo delle
affissioni e cartellonistica pubblicitaria l’illegalità è diffusa,
nonostante le trasgressioni siano sotto gli occhi di tutti. Abusi,
omissioni, trasgressioni: c’è di tutto.
Per verificare lo stato dell’arte e trarne alcuni indizi utili, ci è stato suggerito di dare un’occhiata sotto casa.
Se c’è un impianto pubblicitario all’altezza di un incrocio, potete
star certi che è illegale. C’è un divieto, come per le autovetture. Se
vedete cartelloni pubblicitari nelle autostrade, è un abuso. C’è un
articolo del codice della strada (23, comma 7), che vieta assolutamente
“qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari
internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e
relativi accessi”.
Chi imbocca l’autostrada Palermo-Trapani lasciando viale della Regione, s’imbatte in una sequela di cartelloni pubblicitari di varia dimensione. Tutti illegali. Non si chiude un solo occhio, ma tutti e due. Sono così potenti gli uomini della pubblicità? Pare proprio di sì. Proveremo a spiegarvi perché. Molto presto.
L’isola illegale/2
Pubblicità, come trasformare un rudere in miniera d’oro

La facciata di un rudere in pochi anni è un tredici al totocalcio, il telone su un ponteggio di un’opera architettonica è un terno al lotto.
Quattro impianti di pubblicità nelle aree di grande traffico regalano
un vitalizio che permetterebbe di stipendiare un dirigente pubblico. Le
piccole insegne a ridosso degli incroci equivalgono al compenso di un
professore. Si fanno affari d’oro con la pubblicità.
A Palermo, Catania ed altre città della Sicilia la corsa agli impianti pubblicitari è febbrile. C’è chi acquista impianti a peso d’oro, chi li dismette facendosi pagare una montagna di soldi. Imprenditori “ammanicati” scendono in campo con il coltello fra i denti ed espellono i più deboli.
A Palermo, Catania ed altre città della Sicilia la corsa agli impianti pubblicitari è febbrile. C’è chi acquista impianti a peso d’oro, chi li dismette facendosi pagare una montagna di soldi. Imprenditori “ammanicati” scendono in campo con il coltello fra i denti ed espellono i più deboli.
Enti proprietari, amministrazioni
pubbliche, organi di vigilanza, cui spetta di autorizzare, concedere,
prescrivere, vietare adoittano la politica della manica larga.
Il grande cartellone che “oscura” la facciata della Cattedrale di Palermo,
una delle opere architettoniche più importanti del pianeta, è un pugno
in un occhio ma ha avuto il merito di far sapere come stanno le cose.
Nonostante le polemiche, le critiche, le iniziative e le promesse degli
amministratori comunali, il telo rimane dov’è e non c’è verso di abbatterlo.
Eppure è un manufatto gigante che non dovrebbe stare dove sta e non ha i requisiti per essere autorizzato. Ha il solo pregio di regalare all’azienda pubblicitaria che lo usa per le sue campagne pubblicitarie una montagna di soldi.
Non è l’unico caso. La facciata
dell’Istituto delle Croci, ubicato nell’omonima piazza palermitana
ospita uno spazio pubblicitario smisurato, 20X12, da parecchi anni.
L’autorizzazione viene rinnovata semestralmente con sommo gaudio per i
proprietari, i quali hanno acquistato il rudere per costruire un
immobile, ma si sono accontentati, a quanto pare, di utilizzare la facciata per usare lo spazio pubblicitario.
Dal 2006 per una ragione o l’altra, gli
acquirenti del rudere non sono riusciti a mettere mano alla costruzione.
Il cattivo tempo o il ritardo della concessione edilizia (non
richiesta).
E’ improbabile che i proprietari del rudere abbiano recriminato
per gli ostacoli incontrati in corso d’opera, perché i quattrini che
regala l’uso pubblicitario della facciata, sono una manna dal cielo,
niente a che vedere con l’investimento sulla ristrutturazione
dell’edificio.
Chi doveva vigiliare ha chiuso tutti e due gli occhi.
E’ bastato che montassero i ponteggi, rendendo fruibile la facciata
alla pubblicità perché il rudere si trasformasse in un affarone.
I due casi che abbiamo segnalato sono soltanto la punta dell’ecberg,
sotto gli occhi di tutti nel capoluogo siciliano. Ma nessuno fa caso
alla miriade di insegne, cartelloni ed altri impianti che affollano il
centro abitato senza averne i requisiti. Sarebbe necessario un
censimento degli impianti ed un controllo delle autorizzazioni e della
regolarità dei pagamenti delle relative imposte, sarebbe oltremodo utile
per il Comune selezionare strade e categorie speciali a doppia imposta,
come avviene nelle metropoli italiane, adottare con severità le norme
sull’ubicazione degli impianti.
Il Comune di Palermo non ha un piano degli impianti pubblicitari da trenta anni.
Il regolamento comunale della pubblicità indica parametri e norme di
carattere generale. Si concedono autorizzazioni, non concessioni, che
devono essere attribuite mediante gare pubbliche.
Se si ispezionassero uno per uno gli
spazi e le insegne pubblicitarie, si scoprirebbe probabilmente, che ben
pochi rispettano il codice della strada. Se per gli impianti
pubblicitari a ridosso degli edifici di grande pregio architetonico, si
chiudono tutti e due gli occhi, per la pubblicità nelle strade si ignora del tutto il codice della strada.
Le insegne non dovrebbero distrarre il conducente di un’autovettura.
All’altezza degli incroci non dovrebbero essere ubicati cartelloni o
altri mezzi pubblicitari. Il posizionamento dei cartelli, insegne di
esercizio e altri mezzi pubblicitari entro i centri abitati ed i tratti
di strade extraurbane, dovrebbero osservare questa regola elementare. Ed
invece niente, basta dare uno sguardo sotto casa per scoprirlo.
Sono possibili delle deroghe, ma per autorizzarle il Comune dovrebbe avere un piano degli impianti.
”Lungo le strade ed in vista di esse – prescrive il comma 1 dell’art.23 del codice stradale – è
vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, imnpianti di pubblicità
e propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose,
visibili dai veicoli transitanti sulle strade che, per forma,
dimensioni, colori, disegno ed ubicazione possono (…) arrecare disturbo
visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione con conseguente
pericolo per la sicurezza della circolazione”.
All’interno dei centri abitati i Comuni hanno la facoltà di concedere deroghe
alle norme relative alle distanze minime, nel rispetto delle esigenze
di sicurezza della circolazione, ma le deroghe devono essere deliberate
dal consiglio comunale ed essere previsto dal piano degli impianti, che non esiste.
Dal 31 giugno 1995 Palermo è fuori legge.
Per mantenere le vecchie concessioni pubblicitarie su suolo pubblico i
proprietari degli impianti avrebbero dovuto presentare istanza di
concessione entro un mese dall’entrata in vigore del regolamento, che
risale al 1995. Nel 2004 i concesisonari avrebbero dovuto presentare
istanze per mantenere le concessioni. Ma il rilascio delle concessioni,
però, sarebbe stato impossibile senza un piano degli impianti.
Quell’enorme telo che deturpa la facciata della Cattedrale è “solo” un pugno in un occhio. Niente rispetto al resto.
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